Monza, 14 Giugno 2013
Rassegna delle forme di Partenariato Pubblico-Privato

La complessa situazione delle Amministrazioni soggette al Patto di stabilità interno ha, più o meno coartatamente, convinto diversi Enti Locali a ricercare percorsi che consentissero la realizzazione di interventi di vario tipo tramite operazioni che permettessero di evitare lo sforamento del Patto di stabilità interno. A questo proposito, sono numerose le Amministrazioni che, con l’intento di ottenere tale obiettivo, hanno fatto ricorso a quelle forme di cooperazione tra le P.A. e il mondo delle imprese che, solitamente, vengono unificate sotto la categoria di Partenariato Pubblico-Privato (P.P.P.).

Può essere di un certo interesse ricordare qualche dato statistico sul punto. Secondo l’ultimo rapporto pubblicato dall’Osservatorio Nazionale del Partenariato Pubblico Privato, risalente all’aprile 2013, il mercato delle gare di P.P.P. nei primi quattro mesi del 2013 è rappresentato da un totale di 1.087 interventi, in aumento rispetto ai 961 dello stesso periodo dell’anno precedente, corrispondenti a circa 1,3 miliardi di euro. Significativo, peraltro, è che, rispetto al 2012, la quota delle gare di P.P.P. rappresenti circa il 22,4% del numero complessivo delle gare per opere pubbliche (con un aumento del 5% rispetto al 2012). In particolare, i Comuni hanno inciso in maniera determinante sul mercato complessivo del P.P.P.: l’84% delle operazioni e il 53% del volume d’affari, infatti, va ricondotto alle Amministrazioni Comunali.

Occorre notare, tuttavia, che, nel tentativo di sfuggire, tramite tali operazioni di collaborazione, ai rigidi vincoli del Patto di stabilità interno, alcune Amministrazioni potrebbero essere tentate, per così dire, di abusare degli strumenti offerti dal P.P.P. con finalità, di fatto, elusive del Patto di stabilità. Proprio al fine di garantire una corretta ed efficace applicazione del Patto, è opportuno ricordare che il legislatore statale ha predisposto due particolari misure meritevoli di essere citate. In primo luogo, il comma 30 dell’art. 21 della l. n. 183/2011, in base al quale risultano nulli tutti i “contratti di servizio e gli altri atti posti in essere dagli enti locali che si configurano elusivi delle regole del patto di stabilità interno”. In secondo luogo, la successiva previsione del comma 31 in virtù della quale, tutte le volte in cui le Sezioni giurisdizionali regionali delle Corte dei Conti dovessero accertare “che il rispetto del patto di stabilità interno è stato artificiosamente conseguito mediante una non corretta imputazione delle entrate o delle uscite ai pertinenti capitoli di bilancio o altre forme elusive”, le stesse Sezioni procederanno a irrogare agli autori di tali condanne elusive sanzioni non trascurabili: per gli amministratori, “la condanna ad una sanzione pecuniaria fino ad un massimo di dieci volte l’indennità di carica percepita al momento di commissione dell’elusione” e, per il responsabile del servizio economico-finanziario, “una sanzione pecuniaria fino a tre mensilità del trattamento retributivo, al netto degli oneri fiscali e previdenziali”.

Fatta questa premessa, sul piano operativo, ragionando nei termini del buon andamento della P.A., prima di procedere all’attivazione di una delle diverse forme di P.P.P., di seguito considerate con riguardo ai casi più significativi, ciascuna Amministrazione è tenuta ad effettuare una duplice valutazione. Da un lato, da un punto di vista economico, come è stato giustamente affermato, “l’opzione per la cooperazione pubblico-privato si giustifica soltanto alla luce di comprovati vantaggi microeconomici[1]. Dall’altro, occorre valutare se queste operazioni possano o meno essere considerate come forma di indebitamento per gli Enti Locali, soggetta, di conseguenza, alle varie discipline vigenti che limitano la possibilità di indebitamento delle Amministrazioni.

A quest’ultimo proposito, di fondamentale importanza sono i criteri contenuti nelle decisioni Eurostat cui il legislatore italiano, di recente, ha espressamente attribuito un valore decisivo. L’art. 3 comma 15-ter del Codice dei contratti pubblici – a seguito delle modifiche intervenute tramite l’art. 44 comma 1 lett. b) del d.l. n. 1/2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 27/2012 – stabilisce, infatti, che “alle operazioni di partenariato pubblico e privato si applicano i contenuti delle decisioni Eurostat”. In particolare, deve essere richiamata la determinazione Eurostat dell’11 febbraio 2004, relativa, appunto, al Treatment of public-private partnerships. Secondo tale determinazione, che considera il trattamento contabile dei contratti sottoscritti dalla Pubblica Amministrazione nell’ambito di interventi di P.P.P., affinché una certa operazione di partenariato con imprese private non sia considerata come forma di indebitamento, occorre che siano posti a carico del privato il rischio di costruzione e un ulteriore rischio tra quello di domanda e quello di disponibilità. Brevemente, è possibile così definire tali forme di alea:

  • il rischio di costruzione è quello di regola sopportato dall’appaltatore o dal concessionario in relazione al rispetto dei tempi, dei costi e della qualità pattuiti, compreso il fatto che l’esecutore risulti pagato a condizione che l’opera sia stata realmente ed effettivamente realizzata (pertanto, qualora l’Amministrazione corrisponda quanto pattuito a prescindere dalla verifica dello stato di avanzamento delle opere, o proceda a ripianare qualsiasi costo aggiuntivo, essa assumerebbe il rischio di costruzione);
  • il rischio di domanda è il tipico rischio proprio dell’utilizzo dell’opera (o, se del caso, del servizio connesso) da parte dell’utenza finale;
  • il rischio di disponibilità è costituito dal fatto che il realizzatore sia tenuto a mettere a disposizione degli utenti ultimi l’infrastruttura e il committente, correlativamente, debba corrispondere un canone volto a remunerare sia la disponibilità del servizio sia, anche solo parzialmente, il costo di realizzazione dell’opera (esemplificando: se venisse applicato un meccanismo per cui la Pubblica Amministrazione riduce i propri pagamenti in presenza di scarse prestazioni, magari anche attraverso il ricorso a clausole penali, senza dubbio potrebbe ritenersi sussistente il trasferimento di tale forma di rischio).

Pertanto, detto in maniera più semplice, la spesa relativa all’operazione di P.P.P. non graverà sul bilancio dell’Ente qualora il rischio concernente la costruzione ricada sul soggetto realizzatore e su quest’ultimo gravi anche un ulteriore rischio. Al contrario, nel caso in cui non siano imputati in capo al partner privato almeno due dei precedenti rischi, o comunque siano tali soltanto formalmente, se ne deve concludere che l’operazione in esame rientrerà nella disponibilità e nel rischio dell’Ente Locale. Di conseguenza, in questa ipotesi, si dovrà procedere, da parte della Pubblica Amministrazione, alla qualificazione dell’operazione quale indebitamento. In assenza dei requisiti appena ricordati, quindi, l’assunzione dell’obbligo di pagamento di un canone, ad esempio, andrà considerata, a tutti gli effetti, una forma di indebitamento da valutarsi ai fini del rispetto del patto di stabilità interno ex art. 31 l. n. 183/2011.

La stessa determinazione Eurostat, per i casi più dubbi, suggerisce di valutare ulteriori criteri, tra i quali: la previsione di finanziamenti pubblici (anche in natura), la sussistenza di garanzie fornite dall’Ente sul finanziamento, l’esistenza di clausole di rescissione con pagamento di indennizzi da parte della Pubblica Amministrazione, l’allocazione degli assets secondo le clausole di fine contratto.

Sembra opportuno, pertanto, considerata la difficoltà di rinvenire altri elementi comuni a tutte le fattispecie di P.P.P., rintracciare proprio nell’allocazione dei rischi tra le parti contraenti l’elemento selettivo, ai fini di una classificazione condotta sulla base del Patto di stabilità interno, delle varie forme di P.P.P..

È possibile, a questo punto, procedere a una rassegna delle principali forme di P.P.P. in rapporto al Patto di stabilità, una volta ricordato che l’art. 3 comma 15-ter del Codice degli appalti offre la seguente definizione del P.P.P.:  “contratti aventi per oggetto una o più prestazioni quali la progettazione, la costruzione, la gestione o la manutenzione di un’opera pubblica o di pubblica utilità, oppure la fornitura di un servizio, compreso in ogni caso il finanziamento totale o parziale a carico di privati, anche in forme diverse, di tali prestazioni, con allocazione dei rischi ai sensi delle prescrizioni e degli indirizzi comunitari vigenti”.

La figura più recedente di P.P.P., introdotta dall’art. 44 del d.l. n. 1/2012 (cosiddetto decreto liberalizzazioni), è costituita dal cosiddetto contratto di disponibilità, un innovativo strumento che permette alle Amministrazioni appaltanti di utilizzare un’opera privata per finalità di interesse pubblico. Trattasi, secondo quanto prevede l’art. 3 comma 15-bis.1 del Codice dei contratti pubblici, del “contratto mediante il quale sono affidate, a rischio e a spesa dell’affidatario, la costruzione e la messa a disposizione a favore dell’amministrazione aggiudicatrice di un’opera di proprietà privata destinata all’esercizio di un pubblico servizio, a fronte di un corrispettivo”. Merita di essere sottolineato, per i motivi già esposti, l’inciso “a rischio e a spesa dell’affidatario”. La definizione, poi, prosegue illustrando che, per messa a disposizione, deve intendersi “l’onere assunto a proprio rischio dall’affidatario di assicurare all’amministrazione aggiudicatrice la costante fruibilità dell’opera, nel rispetto dei parametri di funzionalità previsti dal contratto, garantendo allo scopo la perfetta manutenzione e la risoluzione di tutti gli eventuali vizi, anche sopravvenuti”. Sulla base dei princìpi dettati dall’Istituto europeo di statistica, cui è soggetto anche il contratto di disponibilità, espressamente qualificato dal legislatore quale forma di P.P.P., sussistono forti elementi che permettono di propendere per un’iscrizione off balance della spesa relativa alle operazioni realizzate tramite tale strumento, considerato che sia il rischio di costruzione sia quello di disponibilità gravano sul partner privato. Del resto, a sostegno di questa conclusione – cui è giunta anche la giurisprudenza contabile (Corte dei Conti, Sezione regionale controllo Puglia, parere n. 66/2012) – va ricordata anche la disciplina che, di tale fattispecie, dà il nuovo art. 160-ter del Codice dei contratti pubblici. Per quanto riguarda il rischio di costruzione, infatti, il partner privato dovrà: procurarsi i finanziamenti per l’opera, procedere alla redazione dei progetti, ottenere l’approvazione di questi ultimi da parte di terzi competenti (con eventuali ritardi e dinieghi; secondo il comma 2, infatti, “i rischi sulla costruzione e gestione tecnica dell’opera derivanti da mancato o ritardato rilascio di autorizzazioni, pareri, nulla osta e ogni altro atto di natura amministrativa sono a carico del soggetto aggiudicatore”), eseguire gli espropri del caso (prescrive, sul punto, il comma 3 che “gli oneri connessi agli eventuali espropri sono considerati nel quadro economico degli investimenti e finanziati nell’ambito del contratto di disponibilità”), subire gli aumenti dei costi d’opera, eseguire i lavori imprevisti, prestare garanzia per eventuali ritardi nella conclusione di lavori (così come previsto dal comma 3, in base al quale “dalla data di inizio della messa a disposizione da parte dell’affidatario è dovuta una cauzione a garanzia delle penali relative al mancato o inesatto adempimento di tutti gli obblighi contrattuali relativi alla messa a disposizione dell’opera”). Con riguardo, invece, al rischio di disponibilità, deve ricordarsi che “il canone è proporzionalmente ridotto o annullato nei periodi di ridotta o nulla disponibilità della stessa per manutenzione, vizi o qualsiasi motivo non rientrante tra i rischi a carico dell’amministrazione aggiudicatrice” (comma 1 lett. a). Inoltre, a favore della conclusione cui si è giunti, deve anche considerarsi quanto previsto dal comma 1 lett. b), in virtù del quale, qualora sia previsto un contributo pubblico in corso d’opera, questo non potrà comunque essere “superiore al cinquanta per cento del costo di costruzione dell’opera, in caso di trasferimento della proprietà dell’opera all’amministrazione aggiudicatrice”.

Tuttavia, al di là della precedente conclusione, non può nascondersi che, stante la possibilità di modulare in vario modo lo schema flessibile previsto dal legislatore per il contratto di disponibilità, occorrerà, ai fini contabili, procedere a un esame caso per caso. Secondo l’avvertimento della magistratura contabile, infatti, qualora l’operazione accolli all’amministrazione “parte dei citati rischi”, la stessa “avrebbe il solo nome di contratto di disponibilità, ma non la sostanza, dovendo di conseguenza essere considerata elusiva”, perché l’Amministrazione “finirebbe per ottenere la disponibilità di un immobile, mediante un’operazione non rappresentata nelle scritture contabili come indebitamento, pur in assenza di una decisiva assunzione di rischi da parte dell’affidatario” (Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per l’Emilia-Romagna, parere n. 432/2012).

Un’ulteriore figura di sicuro interesse, già presente da diversi anni nell’ordinamento italiano, è quella dell’affidamento di lavori mediante finanza di progetto o, secondo la locuzione anglosassone, il project financing. Come noto, tale operazione costituisce una modalità di finanziamento sul lungo periodo, relativa a un singolo progetto, per la cui successiva gestione il partner privato ottiene una remunerazione del capitale investito. Attualmente, lo strumento in questione, configurato espressamente quale “alternativa all’affidamento mediante concessione” riceve disciplina agli artt. 153 e ss. del Codice degli appalti. Si tratta, fondamentalmente, di un sistema attraverso cui è possibile realizzare lavori pubblici tramite risorse private alla cui base si colloca il finanziamento concesso a favore di una società costituita ad hoc per la realizzazione delle opere. A garanzia di tale finanziamento privato è previsto il cosiddetto diritto di step in, vale a dire la clausola che permette al finanziatore di assumere la gestione integrale del progetto ogniqualvolta sopravvengano situazioni pregiudizievoli nel corso della fase esecutiva. Riservato, logicamente, alle sole opere calde, atte ad autofinanziarsi, l’impegno di spesa pubblica per il project financing, secondo il condivisibile approdo della giurisprudenza contabile, è suscettibile di essere ricompreso o meno nel Patto di stabilità a seconda dell’entità dell’apporto pubblico. Infatti, qualora tale apporto superi il 50% del valore dell’opera in questione, similmente a quanto appena detta con riguardo al contratto di disponibilità, i relativi accordi avranno “il solo nome del project financing, ma natura giuridica del tutto diversa” (Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per l’Emilia-Romagna, parere n. 5/2012). Similmente, in base alle indicazioni Eurostat prima illustrate, qualora l’Amministrazione provvedesse a garantire il capitale prestato al promotore di fronte a chi ha finanziato l’opera – come, secondo la prassi prevalente, un istituto bancario – non si determinerebbe la traslazione in capo al partner del rischio, necessaria perché si configuri un genuino P.P.P.. Di conseguenza, non essendo possibile formulare una valutazione definitiva, occorrerà valutare, caso per caso, se la singola operazione di project financing comporti o meno una forma di indebitamento da parte dell’Ente Locale.

Di rilievo sono pure i profili problematici, dai significativi riflessi anche in ordine all’applicazione del limite all’indebitamento dei Comuni previsti dall’art. 204 T.U.E.L., relativi alla contabilizzazione delle operazioni di locazione finanziaria di opere pubbliche o di pubblica utilità, disciplinate, nel Codice degli appalti, all’art. 160-bis. Come noto, in tale tipo di operazione l’Amministrazione procede a stipulare, insieme a un privato finanziatore, un contratto di leasing relativo all’immobile da costruire. Brevemente, lo schema seguito è il seguente: all’edificazione dell’opera oggetto dell’operazione provvede la società, cui rimane intestata la proprietà dell’immobile, mentre la disponibilità è attribuita all’Amministrazione per un arco temporale prestabilito e a fronte del pagamento di un canone. Lo stesso Ente, alla scadenza pattuita, potrà procedere all’acquisto dell’immobile a un prezzo opportunamente ridotto. A fronte di un iniziale orientamento che, ai fini contabili, voleva dare prevalenza agli aspetti relativi alla titolarità del bene, secondo il metodo patrimoniale, è poi prevalso un diverso indirizzo che attribuisce prevalenza alle ragioni di carattere economico-finanziario dell’operazione di leasing, secondo il metodo finanziario. A questo proposito, non si può fare a meno di richiamare l’importante pronuncia, poi seguita anche dalle Sezioni regionali di controllo, della Corte dei Conti a Sezioni Riunite (Corte dei Conti, Sezioni Riunite in sede di controllo, deliberazione n. 49/2011). Si trattava di stabilire se l’operazione di leasing immobiliare rispettasse o meno i già esposti criteri Eurostat, con conseguente inserimento nelle voci di indebitamento degli Enti Locali in caso di mancato rispetto dei parametri statistici europei. Richiamando il principio contabile internazionale IAS 17, la Corte dei Conti, dando preferenza al metodo finanziario, ha distinto tra il valore del bene oggetto del contratto – da contabilizzarsi nel Titolo V (Entrate da servizi per conto di terzi) -, e la spesa impegnata per il pagamento dei canoni: da ricondurre, in parte, al Titolo III (spese per rimborso prestiti), in relazione alla quota di capitale rimborsato e, in relazione alla quota di interessi, al Titolo I (spese correnti), andando a incidere sul limite di indebitamento stabilito dall’art. 204 T.U.E.L.. Ne consegue, dunque, che la locazione finanziaria graverà, quale operazione volta alla provvista di capitale, sui limiti di spesa e su quelli di indebitamento dell’ente.

La preferenza per il metodo finanziario, peraltro, ha assunto anche veste legislativa da quando, con il d.P.C.M. del 28.12.2011, applicabile inizialmente soltanto per alcune Amministrazioni in via sperimentale e, mano a mano, per tutti gli Enti Locali, al punto 3.25 dell’allegato 2 del decreto è disposta la contabilizzazione secondo il metodo finanziario delle operazioni di leasing, da registrarsi con le medesime scritture utilizzate per gli investimenti finanziati da debito.

Affinché l’operazione di locazione finanziaria non generi indebitamento per l’Amministrazione, dovrà accertarsi che la spesa relativa alla costruzione di opere pubbliche non gravi sul proprio bilancio, con relativo rischio in capo al soggetto realizzatore e che l’esecuzione e la gestione dell’opera risultino a carico del partner privato. In caso contrario, infatti, “la destinazione in via continuativa di una parte delle risorse dell’ente, per pagare i canoni di locazione di un leasing in costruendo, finalizzati all’ottenimento della disponibilità di un’opera pubblica, ha sostanzialmente la natura di indebitamento” (Corte dei Conti, Sezione regionale del controllo per l’Emilia-Romagna, parere n. 5/2012).

Infine, qualche cenno merita di essere riservato anche allo strumento della concessione di lavori, la cui caratteristica principale – che la distingue dall’appalto – è costituita dall’assunzione, da parte del concessionario, del rischio legato alla gestione dei servizi cui è destinata l’opera realizzata. Nella maggior parte dei casi, infatti, l’oggetto di tali interventi è costituito da opere capaci di autofinanziarsi, dal momento che la gestione delle stesse genera un flusso di cassa utile a remunerare l’investimento realizzato. Trattasi, in sostanza, di contratti aventi ad oggetto sia la progettazione e l’esecuzione di lavori pubblici o di pubblica utilità sia la loro gestione.  Seguendo la definizione di cui all’art. 3 comma 11 del Codice, è proprio tale forma di corrispettivo a costituire il dato peculiare di tale strumento, dal momento che “il corrispettivo dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l’opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo”. Posto che il rischio di costruzione deve essere comunque a carico del concessionario, qualora l’oggetto dei lavori sia costituito da opere cosiddette fredde – ad esempio ospedali o carceri – il partner privato dovrà assumere anche il rischio di disponibilità (come previsto dal comma 9 dell’art. 143 del Codice, secondo cui l’affidamento di opere destinate all’utilizzo diretto da parte della P.A. è subordinato alla “condizione che resti a carico del concessionario l’alea economico-finanziaria della gestione dell’opera”); nel caso in cui, invece, l’oggetto riguardi opere calde – frequente il caso delle infrastrutture stradali – il privato sarà tenuto ad accollarsi anche il rischio di domanda. Come precisato dall’Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici, qualora l’allocazione del rischio non dovesse essere composta nei modi appena illustrati, si tratterebbe di “appalto, nel quale vi è unicamente il rischio imprenditoriale derivante dalla errata valutazione dei costi di costruzione rispetto al corrispettivo che si percepirà a seguito dell’esecuzione dell’opera” (A.V.C.P., determinazione n. 2/2010). Di conseguenza, anche in questo caso, qualora un’opera di P.P.P. sia realizzata con allocazione del rischio di costruzione e di almeno uno degli altri due rischi in capo al privato, “non inciderà sui bilanci pubblici”. Al contrario, nel caso in cui, ad esempio, il costo dell’opera gravi sostanzialmente sull’autorità aggiudicatrice, “le opere realizzate con il PPP ricadono sui bilanci pubblici con ovvie conseguenze in termini di impatto sul deficit”.

Per completezza, vanno ancora ricordate ulteriori figure appartenenti alla categoria del P.P.P. che, in questa sede, possono essere oggetto soltanto di alcune brevi annotazioni.

Il contratto di sponsorizzazione – la cui disciplina è contenuta all’art. 26 del Codice dei contratti pubblici e nel recente d.m. del 19.12.2012 – sarà esaminato in una successiva trattazione [del dott. P.P. Mileti, Segretario Generale del Comune di Pavia]. È già possibile anticipare, comunque, che il contratto di sponsorizzazione costituisce uno strumento sempre più diffuso, ai limiti dell’ordinarietà, attraverso il quale l’Amministrazione reperisce le risorse necessarie da uno sponsor privato – interessato a pubblicizzare se stesso o un evento connesso – per garantire un servizio o completare un’opera pubblica.

L’affidamento a contraente generale – disciplinato ex art. 176 del Codice  e costituente una forma di P.P.P. soltanto ove il corrispettivo per la realizzazione delle opere sia del tutto o parzialmente posticipato e collegato alla disponibilità per il committente o per gli utenti – costituisce uno strumento per la realizzazione globale di un opera a carico del cosiddetto general contractor, soggetto che, a seguito del proprio impegno, risponde in modo globale dell’opera, facendosi carico del rischio economico e della realizzazione della stessa in tempi prestabiliti. Tuttavia, stante la normativa vigente, non pare poter essere utilizzato dalle Amministrazioni per sottrarsi dal campo di applicazione del Patto di stabilità interno, considerato che il legislatore ha espressamente posto in capo al partner pubblico una significativa parte del rischio di costruzione, prevedendo che “restano a carico del soggetto aggiudicatore le eventuali varianti indotte da forza maggiore, sorpresa geologica o sopravvenute prescrizioni di legge o di enti terzi o comunque richieste dal soggetto aggiudicatore” (art. 176 comma 5 lett. a).

Per quanto riguarda, infine, la forma principale di P.P.P. istituzionalizzato, ovvero quella della società miste, sembra quasi impraticabile, considerata la diversità di ciascuna operazione societaria, un’univoca qualificazione ai fini del rispetto del Patto di stabilità. Mentre sono sicuramente soggette al Patto di stabilità le società in house – secondo quanto previsto dal d.l. n. 138/2011, con finalità antielusive, in particolare relativamente al blocco delle assunzioni – per quanto riguarda le società miste, stando al giudizio della Corte dei conti lombarda, occorre verificare se le stesse siano o meno costituite con gara a doppio oggetto o comunque se i soci privati siano stati selezionati tramite procedura a evidenza pubblica (Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, parere n. 7/2012). In ogni caso, l’assenza di un’espressa previsione sul punto – contrariamente a quanto avviene per le società in house – pare almeno suggerire la possibilità di valutare, sempre con le dovute cautele, l’esclusione di tale forma di P.P.P. dall’operatività del Patto di stabilità interno.



[1] G. F. Cartei, Le varie forme di partenariato pubblico-privato. Il quadro generale, in Urbanistica e appalti, n. 8/2011, p. 888.